La pratica costante

La continuità della pratica è importante perché ci insegna a diventare sicuri con ciò che è insicuro, comodi nella scomodità , innalzando la soglia della nostra capacità di stare con tutto ciò su cui non abbiamo il controllo. Con il tempo questa apertura della mente diventa l’esperienza predominante , così che proviamo quiete anche nel bel mezzo dell’attività. In tal senso ,  Patanjali ( YOGA SUTRA, 13/14 I )  parla appunto  di ABHYASA , inteso come esercizio , pratica costante , perseverante , per lungo tempo, senza interruzione , con convinzione , con rispetto e devozione, al fine di raggiungere uno stato mentale stabile e di pace.

Tutto ciò è necessario in quanto lo yoga non crede in una comprensione mentale . Crede nella comprensione del corpo : una comprensione totale, nella quale è coinvolta la nostra totalità. Noi non cambiamo solo a livello mentale, cambiano anche le fonti profondi del nostro essere. Pertanto la ripetizione costante di una determinata pratica o tecnica, diventa non volontaria. Se si esegue costantemente e ripetutamente , piano piano essa si distacca dalla mente cosciente , entra nell’inconscio e ne diventa parte. E una volta entrata a far parte dell’inconscio, la pratica inizierà a funzionare da quella fonte più profonda.

MARINA-DEMARIA---YOGAPERTE-2014-COVER2